Il Paradosso del Narcisista: Perché Scappa anche da Chi Dice di Amare?

Il dolore che porta una persona nel mio studio, dopo essere stata abbandonata da un partner narcisista, ha un sapore particolare. Non è solo la ferita dell’abbandono, che di per sé sarebbe lancinante. È qualcosa di più: è lo smarrimento di chi è stato prima idolatrato e poi gettato via come un oggetto rotto, senza una ragione comprensibile. È la vertigine di chi si sente dire “non sei mai stato importante” dopo essere stato trattato come l’unico essere al mondo.

In questi casi, il mio lavoro non è solo consolare. È, prima di tutto, decifrare. Perché l’azione del narcisista obbedisce a una logica emotiva capovolta, dove l’amore non si costruisce, ma si consuma. Dove l’altro non è un tu da incontrare, ma una funzione da sfruttare. E la fuga, quel ritiro improvviso o quella scia di disprezzo che conclude la relazione, non è un atto di libertà, ma l’estrema difesa di un’identità che vacilla.

Oggi voglio addentrarmi nelle pieghe di questa ritirata strategica. Non per giustificare, ma per comprendere. Per restituire, a chi è stato lasciato nella polvere, quella chiave interpretativa che il narcisista, per sua stessa natura, non potrà mai dare.

 

Il Teatro del Sé: Perché la Relazione è Inevitabilmente Destinata a Finire

Prima di elencare i “perché”, dobbiamo fissare un concetto cardine: per il narcisista patologico, la relazione non è un luogo di scambio affettivo. È un palcoscenico.

Lui è il protagonista assoluto, e tu, inizialmente, sei il pubblico perfetto: ammirato, plaudente, totalmente focalizzato sulla sua performance. Ma i copioni, nel narcisismo, sono rigidi. Non prevedono un vero dialogo, un’evoluzione del personaggio, un secondo attore che rubi la scena.

La relazione matura, per sua natura, richiede autenticità, vulnerabilità, reciprocità. Richiede di abbassare le maschere. Ed è proprio questo che il narcisista non può permettersi. La sua maschera di grandiosità, sicurezza e superiorità non è un ornamento: è la barra d’acciaio che tiene in piedi una struttura pericolante. Toglierla significherebbe il crollo.

La fuga, quindi, non è che l’ultimo atto di una commedia il cui finale è già scritto. Vediamo ora i motivi specifici che accelerano il calar del sipario.

 

La Crisi del Rifornimento Narcisistico: Quando lo Specchio si Opacizza

Tutto, per il narcisista, ruota attorno al “rifornimento narcisistico”: quel costante flusso di ammirazione, attenzione e conferma di cui ha bisogno per regolare la propria autostima, che altrimenti sprofonderebbe nel vuoto. All’inizio, la relazione è una fonte inesauribile. L’idealizzazione (“Sei la persona più straordinaria che abbia mai incontrato”) fornisce una dose massiccia e euforizzante.

Ma nessuna relazione reale può reggere il peso di un’idealizzazione così totalizzante. Arriva il momento in cui si diventa umani. Si ha una giornata storta, si ha bisogno di attenzione per sé, si critica, ci si lamenta.

In quel momento, per il narcisista, la fonte si intorbidisce. Il tuo amore non è più puro, incondizionato, assoluto. È contaminato dalle tue esigenze. Smetti di essere uno specchio che riflette solo la sua grandezza e inizi a essere uno schermo che proietta anche le sue (e le tue) imperfezioni. La relazione non è più un’efficiente centrale di approvvigionamento. E quindi va abbandonata, con la stessa freddezza con cui un imprenditore chiude uno stabilimento non più redditizio.

 

La Paura Abissale dell’Intimità: Il Terrore di Essere Visti Davvero

Questo punto è il cuore oscuro della questione. L’intimità è il nemico giurato del falso Sé narcisistico. Intimità significa abbassare le difese, mostrarsi per quello che si è, con paure, insicurezze e bisogni. Significa permettere all’altro di avvicinarsi così tanto da vedere le cuciture della maschera, la fragilità che c’è sotto l’armatura.

Per il narcisista, questo è inimmaginabile. La sua vulnerabilità è associata a un profondo senso di vergogna e di nullità. Mostrarsi debole equivale all’annichilimento. Quindi, proprio quando la relazione sta naturalmente evolvendo verso una maggiore profondità e vicinanza emotiva, lui inizia a sabotarla. Crea conflitti, si distrae, diventa freddo. E, se la minaccia dell’intimità persiste, fugge. Preferisce la solitudine controllata del suo castello al rischio tremendo di essere accolto per quello che è veramente: un essere umano, imperfetto e bisognoso d’amore come tutti gli altri.

 

La Devalorizzazione Finale: La Narrativa della Superiorità

Il narcisista non può semplicemente andarsene. Deve farlo sentendosi il migliore. Deve costruire una narrativa interna che giustifichi la sua azione e preservi la sua immagine di sé. È qui che entra in gioco il meccanismo della svalutazione.

Nel suo mondo interno, lui inizia a sminuirti sistematicamente. Ingigantisce i tuoi difetti, minimizza i tuoi pregi, reinterpreta i tuoi gesti d’amore come manipolazione o debolezza. Ti trasforma, nella sua mente, in qualcuno di “inferiore”, “bisognoso”, “pazzo”, “noioso”. Questo processo gli permette di convincersi di star facendo la cosa giusta. Lo “scarto” non è più un abbandono crudele, ma un atto dovuto di superiorità. Lui sta semplicemente lasciando indietro qualcosa che non è più all’altezza del suo valore. È una difesa psicopatologica potentissima: convertire la propria incapacità di amare nella colpa dell’altro di non essere amabile.

 

La Sirena del Nuovo Rifornimento: Caccia all’Emozione Primaria

Spesso, la fuga non è via da, ma verso. Verso una nuova fonte di approvvigionamento. La nuova relazione offre la droga più potente per il narcisista: l’idealizzazione primaria. Quel periodo iniziale in cui lui è al massimo del suo charm e la nuova partner è al massimo della sua ammirazione è un’esperienza euforica e rigenerante. È un bagno di giovinezza psichica che lo conferma nella sua grandiosità.

Lasciare una relazione “esausta” per una “nuova” non è dettato dalla ricerca di un amore “più vero”, ma dalla dipendenza da questa specifica emozione. È come un tossicomane che cambia “fornitore” per trovare la dose più pura. La nuova persona non è un individuo, ma una funzione: quella di specchio pulito e incantato.

 

In terapia

Terapeuta: Buongiorno Marta. Come è andata questa settimana?

Marta: (Sospira profondamente, giocherella con il cuscino accanto a sé) Difficile, dottore. Molto difficile. È come se ogni giorno fosse uguale. Penso ancora a lui. Mi sveglio la notte chiedendomi perché. Perché ha fatto così? Una settimana prima mi diceva che ero l’amore della sua vita, che finalmente aveva trovato la persona giusta… e poi, da un giorno all’altro, sono diventata la peggiore delle sue ex, una “pazza ossessiva” da cui fuggire. Non capisco. Cosa ho sbagliato?

Terapeuta: La sua domanda è centrale: “Cosa ho sbagliato?”. È una domanda che la tormenta. Ma noto che la formula in un modo molto specifico: presuppone che la causa sia in un suo comportamento. È così che se lo spiega?

Marta: Beh, deve pur esserci una ragione! Le persone normali non agiscono così. Lui mi ha detto che ero troppo bisognosa, che lo soffocavo. Forse è vero. Forse pretendevo troppo.

Terapeuta: Mettiamo in pausa per un attimo la sua autocritica, Marta. Me la conceda? Proviamo a esaminare quella frase: “Eri troppo bisognosa”. Può farmi un esempio concreto di cosa intendeva lui per “bisognosa”?

Marta: Beh… una volta gli dissi che sarebbe stato bello sentirci almeno una volta al giorno quando era in viaggio per lavoro. Lui si arrabbiò, disse che non potevo mettergli catene, che era un uomo libero e che la mia richiesta dimostrava una mancanza di fiducia.

Terapeuta: Quindi lei esprime un desiderio legittimo di contatto in una relazione di coppia, e la sua richiesta viene interpretata come un tentativo di mettere “catene”. La reazione le sembra proporzionata?

Marta: Mi sentii in colpa e stupida per averlo disturbato. Ma lui era così convincente! Mi fece credere che fosse un problema mio, di insicurezza.

Terapeuta: Ecco, Marta. Questo è un passaggio cruciale. Quello che descrive non è una discussione tra due pari, ma un ribaltamento. La sua esigenza legittima è stata trasformata nel suo difetto di carattere. Lui si è posizionato come la vittima della sua “richiesta eccessiva”, salvaguardando la sua immagine di “uomo libero”. È un meccanismo che ho visto ripetersi spesso nelle dinamiche di cui parliamo.

Marta: (Sta zitta per un momento) Quindi… non era sbagliato voler sentire il proprio partner?

Terapeuta: No, Marta. Non lo era. Il lavoro qui non è convincerla che la sua richiesta era giusta, ma aiutarla a riprendere possesso del suo termometro interno. Lei sa, nel suo intimo, che era una richiesta ragionevole. Lui le ha fatto credere che il suo termometro fosse rotto. La fuga finale è l’atto conclusivo di questo processo.

Marta: Cioè?

Terapeuta: Per persone come Marco, la relazione funziona finché il partner è uno specchio che riflette solo la loro immagine idealizzata. Appena lo specchio inizia a riflettere anche altro – una necessità, una critica, una semplice umanità – quello specchio deve essere distorto (attraverso la svalutazione) o infranto (attraverso la fuga). La sua richiesta di contatto non era sbagliata; ha semplicemente smesso di essere uno specchio complice. È diventata una persona reale, con bisogni reali. E quello, per lui, è intollerabile.

Marta: (Gli occhi le si riempiono di lacrime, ma non di tristezza, di un misto di rabbia e sollievo) Quindi… non sono io quella sbagliata. Lui è… incapace. Incapace di affrontare tutto questo.

Terapeuta: Esattamente. La sua fuga non è una fuga da Marta, ma da tutto ciò che Marta, come partner reale, aveva iniziato a rappresentare: l’intimità, la responsabilità, la reciprocità. Luoghi emotivi in cui lui non può entrare senza crollare. L’ha abbandonata perché era diventato psicologicamente inevitabile per la sua sopravvivenza psichica, non per colpa sua.

Marta: È terribile. Mi sento usata. Come se fossi stata un oggetto. Quando non sono più servita, mi ha gettata via.

Terapeuta: È una metafora molto precisa, Marta. E il dolore che prova è il dolore di chi è stato trattato come un oggetto, non come una persona. Il nostro lavoro ora è duplice: curare la ferita di questo abbandono e, soprattutto, ricostruire la fiducia in quel “termometro interno” che le diceva che il suo bisogno d’amore era legittimo. Per evitare che la prossima volta un uomo le faccia di nuovo credere che il termometro sia rotto.

Marta: (Fa un cenno di assenso, più composta) È quello che voglio. Non voglio più sentirmi così. Non voglio più sentirmi in colpa per aver amato.

 

Conclusione: La Libertà di Chi Rimane

Comprendere queste dinamiche non sana il dolore, ma può prevenire una ferita ancora più profonda: quella del dubbio su di sé. “Cosa ho sbagliato? Perché non sono stata abbastanza?”. La verità è che non si trattava di te. Si trattava della sua impossibilità di abitare una relazione vera.

Lui è fuggito per continuare a recitare la stessa commedia con un nuovo pubblico. Tu, invece, sei stata lasciata nel mondo reale, con tutto il tuo dolore, ma anche con tutta la tua autentica possibilità di incontro. La tua libertà inizia proprio lì: nel riconoscere di aver amato un fantasma, e di avere, ora, la concretezza nelle tue mani per costruire qualcosa di vero.

Francesco Ferranti

Psicologo - Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

Aiuto le persone a capire perché fanno scelte sbagliate in amore… e perché continuano a farle, nonostante tutto. Quando non sto “ricablando” cervelli in terapia, scrivo articoli per rendere la psicologia accessibile, pratica e, perché no, anche divertente. 

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