C’è una dinamica che, in studio, riconosco subito e che accende in me tutti i campanelli d’allarme: quella che potremmo definire la sindrome della salvatrice.
Non si tratta di un amore semplicemente generoso, bensì di un contratto silenzioso che recita più o meno così: “Io mi innamoro di te e, in cambio, mi offro come psicoterapeuta, motivatrice e tappeto emotivo. Tutto incluso, senza supplementi.”
Il problema? In questo copione l’amore smette di essere uno scambio reciproco e si trasforma in un investimento a fondo perduto, con l’illusione che un giorno il partner – folgorato sulla via di Damasco – restituirà tutto con gli interessi.
Spoiler: accade raramente, quasi mai.
Le fragili fondamenta: l’autosacrificio
Ogni edificio che si rispetti, anche il più traballante, ha le sue fondamenta. Nel caso della salvatrice, queste fondamenta affondano nell’infanzia. La Schema Therapy parla di Esigenze Emotive Fondamentali: se da piccoli non sono state soddisfatte in modo sano e prevedibile, si sviluppano delle strategie di sopravvivenza che, da adulti, si irrigidiscono in Schemi Maladattivi Precoci.
Tradotto: guardiamo il mondo (e le relazioni) con occhiali distorti.
Nel caso della salvatrice, gli occhiali più gettonati sono tre:
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Schema di Abbandono/Instabilità
La paura viscerale che chi amiamo se ne vada. Ogni minima distanza viene interpretata come un codice rosso. La risposta è l’iper-compensazione: “Se mi impegno di più, forse resterà”.
Aaron Beck direbbe che “la convinzione centrale orienta la percezione della realtà”: se temi di essere lasciato, interpreterai ogni silenzio come conferma. -
Schema di Deprivazione Emotiva
La certezza che i propri bisogni di affetto, comprensione e vicinanza non verranno mai colmati. È uno schema subdolo, perché porta a scegliere partner incapaci di dare. Un po’ come cercare di spremere acqua da un sasso: faticoso per chi prova, irrilevante per il sasso. -
Schema di Sottomissione/Sacrificio di Sé
Qui l’equazione è: “Se metto i bisogni degli altri sopra ai miei, forse non mi abbandoneranno”. Spesso nasce in famiglie dove il bambino è stato “genitorializzato”: piccolo confidente o caregiver di un adulto fragile. Da qui l’apprendimento distorto: l’amore si ottiene come premio per un servizio reso.
La tragedia è che questi schemi, per quanto dolorosi, risultano familiari. E la mente – si sa – preferisce un inferno conosciuto a un paradiso sconosciuto.
Perché la salvatrice incontra sempre il principe azzurro… narcisista?
Il partner con tratti narcisistici è l’attivatore perfetto.
Nella fase iniziale, il narcisista sa come bombardare la salvatrice di attenzioni, adulazioni e dichiarazioni. Per chi porta dentro di sé lo schema di deprivazione, è come ricevere un bicchiere d’acqua nel deserto. Peccato che quell’acqua sia salata.
Appena la relazione si stabilizza, il copione narcisistico vira verso la svalutazione: critica, distanza, richieste esagerate.
A quel punto, gli schemi della salvatrice si accendono come un albero di Natale:
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Abbandono: “Sta per lasciarmi!”
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Sacrificio: “Devo fare di più per trattenerlo!”
E così parte la missione di salvataggio, rinnovata e instancabile.
Lui riceve cure incondizionate, lei riceve la conferma che deve sudarsi ogni briciola d’amore. È una danza sincronizzata verso il disagio: perfetta, ma devastante.
Il prezzo del biglietto: erosione del Sé
Questa danza non è gratuita. Si paga cara, in una valuta chiamata benessere psicofisico.
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Esaurimento Emotivo
L’attenzione costante all’umore del partner porta a una stanchezza mentale simile a quella di un maratoneta.
Come scriveva Winnicott: “Essere continuamente presenti per l’altro porta a smarrire il senso di esistenza autonoma”. -
Annullamento del Sé
Progressivamente, la persona sacrifica passioni, amicizie e hobby. Non esiste più come individuo: diventa un’appendice. Spesso giustificandosi così: “Ha bisogno di me” o “Non gli piacciono quelle cose”. -
Confini sfumati
Dire “no” genera terremoti interni: senso di colpa (“Sono egoista”) e paura dell’abbandono (“Mi lascerà”).
Per quieto vivere, si dice sempre “sì”, covando un risentimento muto e velenoso.
La via d’uscita: risvegliare l’Adulto Sano
La buona notizia è che il copione può essere riscritto. Non passando dal cambiare il partner (missione impossibile), ma dal licenziarsi dal ruolo di salvatrice.
La Schema Therapy ci guida verso il potenziamento dell’Adulto Sano: una funzione psichica già presente, spesso atrofizzata, che può tornare a essere il nostro architetto interno di stabilità emotiva.
I compiti fondamentali dell’Adulto Sano:
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Riconoscere e convalidare i bisogni del Bambino Vulnerabile
Ascoltarlo senza giudizio: “Hai ragione, hai bisogno di riposo e di sentirti visto”. -
Proteggerlo dalle intrusioni esterne
Stabilire limiti con fermezza: “Questo tono di voce non è accettabile, ne riparleremo più tardi”. -
Negoziare confini chiari
Trasformare il sacrificio in assertività: “Comprendo la tua richiesta, ma in questo momento non posso soddisfarla; cerchiamo insieme un’alternativa”.
L’obiettivo non è passare dall’abnegazione all’egoismo, ma dall’amore-sacrificio all’amore-reciprocità: cura, rispetto e attenzione che fluiscono liberamente, senza contabilità segreta.
In Terapia
Laura: (Un sospiro profondo) Sono a pezzi, oggi. Ieri sera… Marco. Mi ha chiamato che era disperato, una giornata orribile, doveva vedermi. Io… io avevo passato la giornata a desiderare solo il mio divano, il mio libro. Ero così stanca. Ma come si fa a dire di no a qualcuno che soffre? Sono andata. Tre ore ad ascoltare i suoi problemi. Alla fine, lui si è addormentato sul divano. Io me ne sono andata, e in macchina… ho pianto. Mi sentivo così… vuota. E poi in colpa perché mi sentivo vuota. Dovevo sentirmi utile, invece…
Terapeuta: Posso immaginare quanto sia stato difficile affrontare tutto questo. Quella sensazione di vuoto… è terribile. È come se, dopo aver dato tutto, non rimanesse più niente di te.
Laura: Esattamente. È proprio così. E non so come uscirne.
Terapeuta: Proviamo a guardare quella scena insieme, non per giudicarla, ma per capirla. Quando hai visto squillare il telefono e il suo nome, prima ancora di pensare “devo andare”, cosa hai sentito nel corpo?
Laura: Nel corpo… un nodo allo stomaco. Un batticuore. Quella classica ansia che ti prende quando… quando senti di poter deludere qualcuno che conta.
Terapeuta: Quella è la paura antica che si sveglia. La paura di non essere abbastanza “buona”, abbastanza presente, e di quindi perdere l’amore. È una paura viscerale. Ti ha detto: “Vai, o sarà terribile”. E tu, per calmare quella paura, sei corsa via. È comprensibile. È un riflesso automatico.
Laura: Sì. È più forte di me.
Terapeuta: Lo so. E il paradosso è che corri per salvaguardare la relazione, ma è una corsa che, chilometro dopo chilometro, ti allontana sempre di più da te stessa. Fino a sentirti vuota, estranea a te stessa. Quella Laura che voleva il suo divano e il suo libro è stata messa in un angolo. E lei è lì che piange.
Laura: (Con le lacrime agli occhi) Esatto. Mi sono messa da parte. Di nuovo.
Terapeuta: Forse, allora, la domanda giusta da porsi non è tanto “Come si fa a dire di no a Marco?”– quanto piuttosto: “Come possiamo rendere Laura una priorità per Laura stessa?”. Anche solo per una serata.
Laura: Ma come si fa? Se non ci sono io per gli altri, poi…
Terapeuta: So che la paura è quella. Ma proviamo ad immaginare, per un momento, un’altra strada. Non la strada del “no” secco e conflittuale, che sarebbe troppo spaventoso ora. Ma una piccola, piccolissima via di mezzo. Una risposta che onori sia il suo bisogno, che il tuo. Se potessi tornare indietro, c’è una frase, anche solo una piccola frase, che avresti potuto dire per prenderti uno spazio?
Laura: (Ci pensa) Forse… forse avrei potuto dirgli: “Marco, mi dispiace tantissimo che tu stia male. Io sono davvero a pezzi stasera, ho bisogno di riposare. Ti posso chiamare domattina per prima cosa, così ne parliamo bene?”. Ma sembra… così poco.
Terapeuta: Sembra poco, ma per qualcuno che è abituato a dare sempre tutto, è un atto rivoluzionario. È come dire: “Ci sei tu, ci sono io, e tutti e due contiamo”. È un modo per restare in contatto con lui senza tradire te stessa. Senza lasciare quella Laura sul divano da sola.
Laura: E se lui si fosse arrabbiato? Se mi avesse detto che sono egoista?
Terapeuta: È vero, è un confronto difficile da affrontare, ma ti darebbe un’informazione cruciale. Ti avrebbe chiarito che la sua presenza era condizionata alla tua costante disponibilità, indipendentemente dal tuo stato d’animo. Questo dato, per quanto doloroso, è prezioso, perché una relazione sana dovrebbe resistere anche ai momenti in cui sei stanca o hai semplicemente bisogno di spazio per te stessa.
Laura: È vero. È che ho paura di scoprirlo.
Terapeuta: Lo so. È una paura sacrosanta. Non devi farlo da un giorno all’altro. Possiamo iniziare in piccolo. La prossima volta che senti quel nodo allo stomaco, prova a fare una pausa di cinque minuti. Prima di rispondere sì. In quei cinque minuti, metti una mano sul cuore e chiediti: “Di cosa ha bisogno la parte stanca di me, in questo momento?”. E ascolta la risposta, senza giudicarla. Anche se poi deciderai di andare lo stesso, avrai dato a te stessa il dono di essere stata ascoltata. È il primo, piccolo passo per smettere di abbandonarti. Per dire a te stessa: “Io ci sono per te, non devi più lottare da sola”.
Laura: (Annuisce, asciugandosi gli occhi) Una pausa. Potrei provare. Solo una pausa.
Terapeuta: Esatto. Solo una pausa. Per ricordarti che in quella stanza, oltre al telefono che squilla, ci sei tu. E che la persona che ha più bisogno della tua compassione in questo momento, sei proprio tu.
Da Salvatrice a Giardiniera
Dobbiamo smontare il mito dell’amore salvifico. L’amore, per quanto intenso, non guarisce disturbi di personalità, traumi o fragilità profonde. Per quello serve un percorso personale, una scelta autonoma e motivata.
Come scriveva Carl Rogers: “Nessuno può cambiare nessuno. Si può solo offrire uno spazio sicuro in cui l’altro scelga di cambiare”.
Il passaggio cruciale è questo:
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dalla colpa (“Non sono stata abbastanza brava da salvarlo”),
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alla responsabilità (“Sono responsabile della mia serenità e delle mie scelte”).
È qui che si compie la vera liberazione.
Perché l’amore non è un pronto soccorso, ma un giardino.
E tu non sei una salvatrice: sei una giardiniera che, smettendo di curare ferite incurabili, può finalmente tornare a coltivare la propria felicità.